Le tipologie architettoniche

(Pietro Cafiero, 13 ottobre 2006)

 

 

 

 

 

“Dal cucchiaio alla città”

Walter Gropius

 

“La forma della città cambia più in fretta, ahimé,

del cuore di un mortale”

Charles Baudelaire

 

 

 

 

 

 

 

 

Progetto architettonico e tipologia edilizia.

Il progetto in generale è una prefigurazione, la previsione di una mutazione della configurazione spaziale di un certo luogo, la quale deve sempre tener conto che l’oggetto che si sta disegnando entrerà comunque in relazione con il contesto - presente e futuro - nel quale si inserisce o inserirà. Allo stesso tempo però il progetto possiede una sua fisicità, fatta di disegni e di testi, alla quale va pure prestata la massima attenzione.

Il tema del corso è quello del progetto urbano, cioè quello di un “pezzo di città”. La città è uno spazio antropizzato composto da spazi costruiti (edifici d’ogni genere e tipo, isolati, quartieri) interconnessi da spazi aperti (strade, piazze, giardini pubblici e privati, parchi…). Quindi sia per progettare una parte nuova di città, sia per ristrutturare o ricucire un tessuto edilizio esistente, bisogna conoscere le caratteristiche morfologiche, dimensionali e strutturali dei singoli elementi che la compongono, ovvero le rispettive tipologie edilizie e insediative.

 

 

L’immanenza dei tracciati.

Tutti sanno che ai tempi dei Romani l’atto fondativo della città consisteva nel tracciare due strade perpendicolari tra di loro, il cardo e il decumano, su cui poi si allineavano tutte le altre, creando una griglia regolare di isolati le cui dimensioni, stabilite a priori, derivavano dall’unità edilizia di base detta insula. Molte altre culture, più antiche e più recenti, in ogni tempo e in ogni luogo, hanno operato nello stesso modo o in modi analoghi.

Sempre e dovunque tale imprinting originario non si è più perduto, e da questa continuità o inerzia storica che pervade l’urbanistica possiamo ricavare due importanti assunti operativi:

 

§         l’immanenza dei tracciati. Nel divenire urbano le strade sono molto più “resistenti” nel tempo rispetto agli edifici (da noi basta pensare a città come Torino, Brescia o Verona, che presentano una morfologia a scacchiera ancora perfettamente leggibile pur non conservando più gli edifici di epoca romana; altrove gli esempi sono infiniti, dalla Cina all'America Latina, dal Giappone al Canada, e così via). Analoga "lunga durata" ha la suddivisione della proprietà del suolo registrata dai catasti, che impongono i loro segni sull’organizzazione del tessuto urbano e rurale conservandoli anche a distanza di secoli;

§          il legame tra isolato e tipologia architettonica. La morfologia degli isolati è sempre condizionata dalle dimensioni e dalle prestazioni degli immobili che essi contengono, le quali in genere sono standardizzate. Pertanto, per dimensionare la scansione degli isolati in un progetto urbano e per valutarne la pertinenza, è necessario padroneggiare il tema delle tipologie edilizie e insediative più ricorrenti, ovvero conoscere bene le caratteristiche prestazionali e dimensionali delle costruzioni e degli spazi che di solito entrano in gioco[1].

Cosa vuol dire “tipo edilizio”.

Se analizziamo un numero sufficientemente grande di edifici, ci accorgiamo che vi sono delle configurazioni e delle modalità organizzative ricorrenti che possiamo ricondurre a modelli astratti di riferimento: i tipi edilizi. Il tipo edilizio è una sorta di "modello" delle caratteristiche basilari di un fabbricato, l'archetipo ideale di ogni oggetto architettonico, o se si vuole il suo concetto.

 

 

Le differenti tipologie.

Anche se non esiste una vera e propria legge “scientifica” che determini il legame tra la configurazione degli edifici e il loro destino di impiego (gli interventi di recupero e di trasformazione di strutture ex industriali in uffici e residenze, pur conservando l’impianto tipologico originale, ne sono un chiaro esempio), una prima e rudimentale classificazione delle tipologie edilizie può prendere in considerazione le funzioni cui i fabbricati sono adibiti. Così possiamo distinguere le tipologie residenziali da quelle industriali, terziarie, agricole, scolastiche ecc., ciascuna delle quali presenta varie articolazioni interne (p. es., se consideriamo le tipologie residenziali possiamo individuare diverse categorie di edifici:

 

 

pochi piani

parecchi piani

edif. isolato (4 affacci), 1-2 alloggi per pianerottolo

es.: villa

es.: palazzina, casa a blocco, torre (se molto alta)

edif. unito ad altri uguali (2 soli affacci), 1-2 alloggi-tipo per pianerottolo

es.: casa a schiera

 

 

es.: casa in linea

configurazione chiusa, vari alloggi-tipo per pianerottolo

es.: casa a corte tradizionale urbana e rurale (con eventuali ballatoi)

 

Analoghe categorie e sotto-categorie possono essere individuate per le altre funzioni.

Misure e Modulor

Esaminando le differenti tipologie residenziali verremo a conoscere parecchie misure che si è soliti definire “standard”. Ma da cosa derivano queste misure? Perché per esempio nelle cucine il modulo più ricorrente è di 60 cm? E perché le scale di un condominio generalmente sono larghe 1,2 mt? E ancora, perché i gradini di una scala sono profondi circa 30 cm? La risposta a quelle domande è legata alle dimensioni medie del corpo umano adulto. I 60 cm costituiscono l’ingombro determinato dalla larghezza delle spalle di una persona e determinano per esempio la dimensione minima di una scala condominiale: 120 cm per permettere a due persone di incrociarsi agevolmente[2].

Allo stesso modo i gradini sono profondi 30 cm perché il piede di un uomo adulto è all’incirca di quella misura.

Fin dai tempi più remoti l’architettura ha indagato questo tema arrivando ad elaborare svariati modelli.

Le Corbusier negli anni ’40 definisce in modo molto preciso la questione delle misure di oggetti e locali in relazione al corpo umano, teorizzando una scala di proporzioni che chiamerà Modulor.

Il Modulor ha un illustre precursore nell’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, nelle opere dello stesso Vitruvio e nei lavori di Leon Battista Alberti. Parimenti il Modulor è alla base di quella che oggi viene comunemente definita ergonomia. 

Le Corbusier utilizza sì le misure del corpo umano, ma le interpola con la sequenza di Fibonacci e la sezione aurea. La rappresentazione grafica del Modulor consiste in una figura umana stilizzata con un braccio steso sopra il capo, vicino a due misurazioni verticali, la serie rossa basata sull'altezza dell'ombelico (108 cm nella versione originale, 113 cm nella versione rivista[3]) poi divisa in segmenti secondo il Phi, e la serie blu basata sull'intera altezza della figura, doppia rispetto all'altezza dell'ombelico (216 cm nella versione originale, 226 cm nella revisione), divisa in segmenti allo stesso modo. Una spirale, sviluppata graficamente tra la serie rossa e la blu, sembra mimare il volume della figura umana. Le misure espresse dal Modulor vengono utilizzate dall’architetto svizzero in alcune delle sue più famose realizzazioni come la prima Unité d'Habitation a Marsiglia, Notre Dame du Haute e alcuni edifici a Chandigarh.

Da ciò emerge chiaramente che vi è un legame stretto tra le misure modulari (siano quelle del corpo umano, siano quelle di Le Corbusier) e le dimensioni degli ambienti. E, dato che le dimensioni dei locali di un edificio ne influenzano l’organizzazione spaziale e la distribuzione interna, possiamo affermare che sostanzialmente esiste una relazione inscindibile tra le misure del corpo umano e le tipologie architettoniche.

 

 

L’impianto di un edificio residenziale.

Come esercizio, cerchiamo ora di capire come funziona un comune edificio residenziale, la tipica palazzina con due appartamenti per pianerottolo. Le dimensioni complessive derivano in genere dalle misure dei singoli locali (che in buona sostanza sono fissate dal regolamento edilizio e dal mercato) e dalla loro reciproca disposizione.

Per esempio, lo spessore del corpo di fabbrica oscilla tra i 10 e i 12 m perché deve contenere due file di stanze, eventualmente con un corridoio nel mezzo (ma può essere anche maggiore, come mostra l’esempio). Gli spazi di distribuzione sono inseriti tra i due appartamenti e determinano la lunghezza complessiva del fronte.

 

 

Bibliografia suggerita

§         Caniggia, Maffei,  Composizione architettonica e tipologia edilizia, Venezia, Marsilio, 1995.

§         Le Corbusier, Il modulor + modulor 2 (curatore e revisore della traduzione Emanuele Saurwein), Mendrisio, G. Capelli, 2004.

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[1] Naturalmente, se la morfologia urbana è sempre inevitabilmente connessa alle tipologie architettoniche, questo è stato tanto più vero prima che Movimento moderno “rompesse” questo binomio proponendo schemi tipologici che non dipendono più dall’impianto urbanistico. Questo ha avuto delle ricadute notevoli sul modo di progettare contemporaneo, poiché l’analisi urbana attraverso la lettura delle tipologie, utile strumento di comprensione delle dinamiche di sviluppo della morfologia insediativa, non si applica con altrettanto profitto ai nuovi tessuti moderni.

[2] La dimensione delle scale condominiali è determinata anche da un motivo “pratico”, ovvero permettere a lettighe e bare di girare nei pianerottoli.

[3] Le Corbusier pubblicò Le Modulor nel 1948, seguito da Modulor 2 nel 1955.